Zitto un tempo era veramente solo.
Già il nome che gli aveva dato suo padre, che sembrava essere uomo privo di fantasia, gli preannunciava un’esistenza difficile: era sicuro che se lo avessero almeno chiamato Silente le cose sarebbero andate meglio, almeno quando era piccolo.
Infatti tutte le volte che lo chiamavano per nome, lui non pronunciava verbo: come si fa a parlare quando ti senti chiamare Zitto?
Anche a scuola faceva spesso scena muta quando era interrogato, mentre nei compiti prendeva sempre bei voti perché solo nel silenzio delle parole scritte riusciva ad esprimersi.
Così nel tempo era diventato un gran pensatore perché parlava poco ma aveva una notevole capacità di ragionamento e di osservazione.
Osservava l’evolversi delle stagioni, il rinvigorire dei prati quando iniziava la primavera, le fasi lunari, il vagare delle nuvole, il rincorrersi degli uccelli nel cielo, i lavori stradali. Quando era un ragazzino, faceva tenerezza vederlo insieme ai nonni a controllare i movimenti delle ruspe e delle gru dei cantieri, ma a lui piaceva osservare perché osservando imparava.
Zitto si sentiva veramente solo? Alle volte sì, anche se stava bene con Solitudine, la sua maestra di pensiero.
Con lei viaggiava leggendo romanzi, che gli aprivano le porte a vite vissute, o poesie, che riuscivano ad aprirgli il cuore con bellissime parole in rima.
Quindi per non restare imprigionato nella sua “comfort zone”, la solitudine, crescendo si era imposto di infrangere quella barriera e di iniziare a socializzare.
Ma come riuscire a scambiare quattro chiacchiere con degli sconosciuti?
Attirando la loro attenzione, facendo cose che suscitavano curiosità.
Quindi ecco che con guanti, pinze e sacchetto Zitto, zitto zitto, iniziò a camminare per le vie del centro di Cusano Milanino, che era il suo paese, per raccogliere mozziconi, carte, lattine, che alcuni suoi maleducatissimi concittadini buttavano a terra.
Poi a casa chiedeva a ChatGPT di scrivere delle brevi poesie sulle cose raccolte e sui rifiuti vari trovati nei parchi cittadini:
“Mozziconi dispersi, natura offesa, il suolo si fa culla.
Inquinano il mondo, rispetta la terra: non gettare mai nulla.”
“Lattine a metà, l'ambiente piange, il cielo s'oscura,
Natura ferita, cuore infranto: non abbandonarle, matura.”
“Tra fiori e foglie, tristezza nei parchi urbani.
Rifiuti ignoti, il cuore verde piange, lo vedete voi occhi umani?”
Con queste poesie appiccicate addosso, come si faceva a non notare quel tipo strano che raccoglieva rifiuti in centro?
I passanti più coraggiosi iniziarono a fermarlo per strada per leggere le poesie, per capire cosa stesse facendo e quale fosse il suo messaggio.
Poi si davano appuntamento per una chiacchierata ed un caffè.
Poi si formarono i capannelli di curiosi e quello era il momento buono per spiegare ai presenti che bisognava avere cura dell’ambiente, iniziando dai piccoli gesti quotidiani.
Poi il suo cellulare non smise più di ricevere messaggi di invito tipo: “Zitto vieni con me a raccogliere domani pomeriggio? Sará il turno di viale Marconi”.
E così, con un’azione semplice ma efficace, Zitto si fece un sacco di amici che lo stimavano e lo imitavano nel diffondere un bellissimo messaggio: tutti noi dobbiamo essere attenti all’ambiente rispettandolo, perché questa è la nostra casa, la nostra unica casa e dobbiamo prendercene cura.
E volete sapere il cognome di Zitto?
Quando lo leggerete capirete che suo padre non era poi così a corto di fantasia.
Zitto Efai
Autori: Zitto e Solitudine
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